Celtic Punk/ Oi!
Pubblicata su Storiadellamusica.it
Non ricordo di preciso la penultima volta che mi ritrovai ad
auto-infliggermi sculacciate al ritmo di grancassa, come a segnare il tempo dei
mie salti in avanti su di un piede solo, stile Angus Young, impugnando
in modo precario una pinta di Guinness e vaneggiando improbabili natali
celtici. Credo di ricordare fosse una festa di San Patrizio, in Toscana, agli
albori del XXI secolo, ma i dettagli ora mi sfuggono e potete immaginare il
perché.
I Dropkick
Murphys, dalla periferia di Boston, attivi dal 1996, veri e propri
idoli in patria, giungono oggi al loro ottavo album in studio. Per chi non li
conoscesse, loro sono un gruppo che molto semplicemente fonde il punk/hardcore
con la musica folk di matrice celtica. Una curiosa ma efficace mistura che
visse il suo periodo d’oro nei primi anni ’80 del secolo scorso, quando dalla
fuga di massa dal punk imborghesito si esplorarono diversi orizzonti nuovi, tra
i quali il punk folk di band come Pogues prima e Black
47, Flatfoot 56 e Dropkick
Murphys dopo (nel mezzo, ovviamente, c’è tutto il periodo
hardcore).
Signed
and sealed in blood segue il meraviglioso e decisamente più
complesso Going out in Style (2011), un concept album sulla
storia di un immaginario immigrante irlandese, Cornelius Larkin, che
vide, tra gli altri, la partecipazione niente meno che del Boss, Bruce
Springsteen, a duettare con Ken Casey, bassista e voce
della band, nella cover di Peg O’ My Heart, un brano della tradizione
popolare nord americana.
L’album odierno è qualcosa di volutamente diverso. Come loro
stessi affermano, si tratta di un album concepito per inebriare e far ballare le
masse. Uno sfogo quindi, dopo le fatiche che un concept album
inevitabilmente porta con sé. Uno sfogo razionale, se è vero com’è
vero che la ricerca del consenso ampio, che tra l’altro non mancava loro,
non viene quasi mai per caso. E’ infatti innegabile la forza e l’immediatezza
di gran parte dei brani di quest’album. Su tutti “Prisoner’s song”, una ballata
irish, introdotta da banjo e fisarmonica ritmati dal solo battito di mani e
scandita dalle urla in coro dell’intera band in perfetto stile punk/oi!. Un
tripudio di energia che non fatico ad immaginare mentre fa scaldare, ballare e
pogare vorticosamente le copiose folle che generalmente frequentano i loro
live.
La stessa sensazione era stata tra l’altro introdotta da
“The boys are back”, il cui coro è fatto apposta per essere interpretato
all’unisono dalle migliaia di persone alle quali il cantante rivolge il
microfono per testarne ugole e memoria, gente che, almeno in quel momento, non
ne vuole sapere di debiti, tasse, due di picche, riunioni di condominio.
Incredibilmente bella è pure la più lenta ed orgogliosamente
impostata “The Season’s upon us”, così come degne di ascolto sono pure the
“Rose Tattoo” (presente pure nella copertina dell’album) e “Out of our heads”.
Rimangono nella media dello stile celtic punk più o meno tutte
le altre tracce. Assolutamente da dimenticare invece l’esperimento, alquanto kitsch,
di rock&roll in salsa irlandese di “Out on the town”, che
tra l’altro sembra ricordare con una certa insistenza l’Ob-la-di ob-la-da
del Fabulous Foursome.
Non ricordo di preciso la penultima volta che mi ritrovai ad
auto-infliggermi sculacciate al ritmo di grancassa, ma l’ultima volta ce l’ho
bene in mente, anche perché non è servita alcuna spinta alcolica a stimolarla.
Sono infatti bastate le prime note di Signed
and sealed in blood. Provare per credere.
Tracklist
- The Boys Are Back
- Prisoner?s Song
- Rose Tattoo
- Burn
- Jimmy Collins Wake
- The Season's Upon Us
- The Battle Rages On
- Don't Tear Us Apart
- My Hero
- Out On the Town
- Out of Our Heads
- End of the Night
- The Boys Are Back
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