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giovedì 21 marzo 2013

RECENSIONE: Marta sui Tubi - CINQUE, LA LUNA E LE SPINE

  Marta sui Tubi - CINQUE, LA LUNA E LE SPINE (Universal, 2013)



 Alt folk - cantautori - punk folk










Pubblicata su Storiadellamusica.it


Ci provo, mi spiego, mi sforzo di scrivere una recensione sull’ultimo disco dei Marta sui Tubi, Cinque, la Luna e le Spine, senza lasciarmi condizionare, nel bene o nel male, dalla loro recentissima  apparizione all’ultimo festival della canzone italiana, si, quello di Sanremo. 




Quindi devo… dimenticare le luci, l’orchestra, le gengive irritanti della Venier, le lezioni di musica di Luzzatto Fegiz, lo sguardo intrigante di Giletti in prima fila, l’eccessiva miscela di rosso ramato nella tinta di Paolo Limiti, le domande impastate di saliva di quel simpaticone di Mollica, le farfalline, le mummie secolari, plastificate, in sontuose pellicce in platea, la réclame, l’HD sul canale 501, lo sdoganamento o il tentativo di sdoganare quanto di più autentico, intimo e realmente alternativo ed indipendente in Italia si aveva. Margaritas ante porcos o suini che devono essere educati alle perle, questo sarebbe il dilemma. Nel dubbio, non cerco la risposta e torno sul disco, e davvero dimentico, una volta per tutte, ciò che è stato.



Cinque sta per una serie di cose. Il numero degli album in studio dei Marta sui Tubi e la formazione a 5 che dura ormai da 5 anni. Annunciato come l’album più ambizioso e sperimentale della loro carriera, l’ascolto lascia subito impressionati per la notevole qualità della registrazione e del missaggio che a tratti sfiora la patinata perfezione. Niente di male, anzi. Lo metti su e l’ambiente magicamente si riempie di un suono pieno e morbido, caldo, rassicurante. Ma, almeno per una volta, vorrei partire dalle note dolenti per dedicare il finale alle cose migliori, perché il mio affetto per i Marta sui Tubi è tale da voler concedere al lettore il piacere di portare con sé ciò che mediamente rimane più impresso, le prime righe e, generalmente, le ultime.




Parto quindi dalle noti dolenti, semplicemente i pezzi che mi sono piaciuti meno, poco, per niente. La ladra sembra più che altro una cover di una ballad di successo di John Mayer piuttosto che un pezzo di quel gruppo che inconsciamente ho sempre ritenuto la versione italica dei Violent FemmesGrandine che nei cori del ritornello fa esibire l’ugola di Giovanni Gulino in performance che, sempre inconsciamente, lo collocano tra l’ultimo Battiato e Mango. Un’occasione ghiotta per rialzare l’ “emozionometro” la dà l’ultima traccia, Polvere sui Maiali. Un blues sghembo, cantato un po’ alla Tom Waits da Carmelo Pipitone, il genio della sei corde acustica più talentuoso in Italia. Un'occasione che avrebbe potuto essere sfruttata meglio se dopo una partenza più che convincente non si rinchiudesse praticamente subito in un ridondante finale pseudo-psichedelico che considerando i suoi 3:29 sa un po’ di coitus interruptus. Ma la cosa più imbarazzante è un'altra e si chiama Il Collezionista di vizi. Non so quanto le due cose siano collegabili, ma ascoltandola mi sono un po’ venute le stesse bolle sulla pelle che mi spuntarono quando ascoltai per la prima volta “Il mio corpo che cambia” dei Litfiba. Riconoscevo quella voce, ma mi sentivo come la ragazzina con l’apparecchio ai denti, bruttarella ma interessante che era stata appena tradita per la bellona simpatica ma un po’ tonta.





E’ difficile dire tutto ciò, per me che seguivo i concerti dei Marta sui Tubi quando ai concerti eravamo in pochissimi illuminati  e tutti con le ugole in fiamme nel tentare di stare dietro alle devastanti apnee liriche di Gulino, sgranando gli occhi di fronte alle extraterrene contorsioni di Pipitone alla chitarra.
All’interno delle 11 tracce delle quali è composto l’album ci sono però pezzi sicuramente validi ed assolutamente apprezzabili. Su tutti Tre, un punk blues al fulmicotone, introdotto da un assolo di batteria con forte eco, quasi da live, al quale segue una languida chitarra old blues ed un cantato impostato quasi a scimmiottare i diversi cloni italiani di Elvis degli anni d’oro. Fino a giungere ad un’esplosione pazza ed irrefrenabile di suoni e rime velocissime come solo i Marta sui Tubi in Italia hanno saputo fare. Tra le cose belle ancora Dispari, il pezzo scartato a Sanremo (niente, non ce la faccio a non pensare lì). Coro gregoriano su base folk rock,  ad introdurre un ritmo travolgente ed un'orecchiabilità da filastrocca musicata che nella sua semplicità e delicata melodia, condita da arrangiamenti da grandi occasioni, ne fanno un pezzo di assoluto spessore che induce agevolmente allo scanzonato fischiettio. Ancora decisamente valide ma un gradino sotto le due tracce appena menzionate sono Il primo volo, la prima traccia dell’album, e Vorrei. Entrambe di forte impatto emotivo e con una cura particolare degli arrangiamenti e dei testi, hanno semmai la pecca, se di pecca si tratta,  di ammiccare troppo alla melodia della canzone leggera nazionale.




Menzione a parte la merita Vagabond Home, il primo pezzo in inglese dei Marta sui Tubi, se si esclude la cover di Tomorrow never knows dei Beatles in C’è gente che deve dormire. E’ una ballad alt folk/ blues che per quanto denoti inevitabili lacune nella pronuncia, dimostra delle potenzialità che la band ha fortemente incise nel proprio DNA e che sono sicuro, curate con un certo metodo, potrebbero portare i nostri eroi a ben più ampi orizzonti. E' questo uno dei momenti più intensi dell’album con un finale in crescendo di fumi psichedelici che questa volta, a differenza di Polvere sui Maiali, è ben calibrato nella collocazione e nella durata.





Non voglio fare moralismi o discorsi sull’etica nella musica, per carità, trovo sia stupido e da stupidi farlo ora ed in questa occasione, anche se altri saranno pronti a farlo, ne sono sicuro. Certo è che se il prezzo da pagare, per noi fan della prima ora, per permettere ai Marta sui Tubi di aprirsi ad un pubblico più ampio, arrivare sulla bocca delle massaie o delle amate/odiate Dominique (questa la capiscono in pochi), arrivare a vendere un buon numero di dischi in più e permettersi un’esistenza un po’ più serena, dopo tutto non è andata poi così male. Altri in passato hanno fatto la stessa cosa, ed in termini di mera qualità del prodotto i Marta sui Tubi possono essere tranquillamente considerati quelli che si sono sdoganati meglio, quelli che hanno tradito meno il loro spirito originario e autentico. Di questi tempi, veramente, non è poco.



 Tracklist

  1. Il Primo Volo
  2. Dispari
  3. I Nostri Segreti
  4. Vorrei
  5. Vagabond Home
  6. Il Collezionista Di Vizi
  7. Tre
  8. La Ladra
  9. Maledettamente Bene
  10. Grandine
  11. Polvere Sui Maiali

Ci provo, mi spiego, mi sforzo di scrivere una recensione sull’ultimo disco dei Marta sui Tubi, Cinque, la Luna e le Spine, senza lasciarmi condizionare, nel bene o nel male, dalla loro recentissima  apparizione all’ultimo festival della canzone italiana, si, quello di Sanremo. 
Quindi devo… dimenticare le luci, l’orchestra, le gengive irritanti della Venier, le lezioni di musica di Luzzatto Fegiz, lo sguardo intrigante di Giletti in prima fila, l’eccessiva miscela di rosso ramato nella tinta di Paolo Limiti, le domande impastate di saliva di quel simpaticone di Mollica, le farfalline, le mummie secolari, plastificate, in sontuose pellicce in platea, la réclame, l’HD sul canale 501, lo sdoganamento o il tentativo di sdoganare quanto di più autentico, intimo e realmente alternativo ed indipendente in Italia si aveva. Margaritas ante porcos o suini che devono essere educati alle perle, questo sarebbe il dilemma. Nel dubbio, non cerco la risposta e torno sul disco, e davvero dimentico, una volta per tutte, ciò che è stato.
Cinque sta per una serie di cose. Il numero degli album in studio dei Marta sui Tubi e la formazione a 5 che dura ormai da 5 anni. Annunciato come l’album più ambizioso e sperimentale della loro carriera, l’ascolto lascia subito impressionati per la notevole qualità della registrazione e del missaggio che a tratti sfiora la patinata perfezione. Niente di male, anzi. Lo metti su e l’ambiente magicamente si riempie di un suono pieno e morbido, caldo, rassicurante. Ma, almeno per una volta, vorrei partire dalle note dolenti per dedicare il finale alle cose migliori, perché il mio affetto per i Marta sui Tubi è tale da voler concedere al lettore il piacere di portare con sé ciò che mediamente rimane più impresso, le prime righe e, generalmente, le ultime.
Parto quindi dalle noti dolenti, semplicemente i pezzi che mi sono piaciuti meno, poco, per niente. La ladra sembra più che altro una cover di una ballad di successo di John Mayer piuttosto che un pezzo di quel gruppo che inconsciamente ho sempre ritenuto la versione italica dei Violent FemmesGrandine che nei cori del ritornello fa esibire l’ugola di Giovanni Gulino in performance che, sempre inconsciamente, lo collocano tra l’ultimo Battiato e Mango. Un’occasione ghiotta per rialzare l’ “emozionometro” la dà l’ultima traccia, Polvere sui Maiali. Un blues sghembo, cantato un po’ alla Tom Waits da Carmelo Pipitone, il genio della sei corde acustica più talentuoso in Italia. Un'occasione che avrebbe potuto essere sfruttata meglio se dopo una partenza più che convincente non si rinchiudesse praticamente subito in un ridondante finale pseudo-psichedelico che considerando i suoi 3:29 sa un po’ di coitus interruptus. Ma la cosa più imbarazzante è un'altra e si chiama Il Collezionista di vizi. Non so quanto le due cose siano collegabili, ma ascoltandola mi sono un po’ venute le stesse bolle sulla pelle che mi spuntarono quando ascoltai per la prima volta “Il mio corpo che cambia” dei Litfiba. Riconoscevo quella voce, ma mi sentivo come la ragazzina con l’apparecchio ai denti, bruttarella ma interessante che era stata appena tradita per la bellona simpatica ma un po’ tonta.
E’ difficile dire tutto ciò, per me che seguivo i concerti dei Marta sui Tubi quando ai concerti eravamo in pochissimi illuminati  e tutti con le ugole in fiamme nel tentare di stare dietro alle devastanti apnee liriche di Gulino, sgranando gli occhi di fronte alle extraterrene contorsioni di Pipitone alla chitarra.
All’interno delle 11 tracce delle quali è composto l’album ci sono però pezzi sicuramente validi ed assolutamente apprezzabili. Su tutti Tre, un punk blues al fulmicotone, introdotto da un assolo di batteria con forte eco, quasi da live, al quale segue una languida chitarra old blues ed un cantato impostato quasi a scimmiottare i diversi cloni italiani di Elvis degli anni d’oro. Fino a giungere ad un’esplosione pazza ed irrefrenabile di suoni e rime velocissime come solo i Marta sui Tubi in Italia hanno saputo fare. Tra le cose belle ancora Dispari, il pezzo scartato a Sanremo (niente, non ce la faccio a non pensare lì). Coro gregoriano su base folk rock,  ad introdurre un ritmo travolgente ed un'orecchiabilità da filastrocca musicata che nella sua semplicità e delicata melodia, condita da arrangiamenti da grandi occasioni, ne fanno un pezzo di assoluto spessore che induce agevolmente allo scanzonato fischiettio. Ancora decisamente valide ma un gradino sotto le due tracce appena menzionate sono Il primo volo, la prima traccia dell’album, e Vorrei. Entrambe di forte impatto emotivo e con una cura particolare degli arrangiamenti e dei testi, hanno semmai la pecca, se di pecca si tratta,  di ammiccare troppo alla melodia della canzone leggera nazionale.
Menzione a parte la merita Vagabond Home, il primo pezzo in inglese dei Marta sui Tubi, se si esclude la cover di Tomorrow never knows dei Beatles in C’è gente che deve dormire. E’ una ballad alt folk/ blues che per quanto denoti inevitabili lacune nella pronuncia, dimostra delle potenzialità che la band ha fortemente incise nel proprio DNA e che sono sicuro, curate con un certo metodo, potrebbero portare i nostri eroi a ben più ampi orizzonti. E' questo uno dei momenti più intensi dell’album con un finale in crescendo di fumi psichedelici che questa volta, a differenza di Polvere sui Maiali, è ben calibrato nella collocazione e nella durata.
Non voglio fare moralismi o discorsi sull’etica nella musica, per carità, trovo sia stupido e da stupidi farlo ora ed in questa occasione, anche se altri saranno pronti a farlo, ne sono sicuro. Certo è che se il prezzo da pagare, per noi fan della prima ora, per permettere ai Marta sui Tubi di aprirsi ad un pubblico più ampio, arrivare sulla bocca delle massaie o delle amate/odiate Dominique (questa la capiscono in pochi), arrivare a vendere un buon numero di dischi in più e permettersi un’esistenza un po’ più serena, dopo tutto non è andata poi così male. Altri in passato hanno fatto la stessa cosa, ed in termini di mera qualità del prodotto i Marta sui Tubi possono essere tranquillamente considerati quelli che si sono sdoganati meglio, quelli che hanno tradito meno il loro spirito originario e autentico. Di questi tempi, veramente, non è poco.
Ci provo, mi spiego, mi sforzo di scrivere una recensione sull’ultimo disco dei Marta sui Tubi, Cinque, la Luna e le Spine, senza lasciarmi condizionare, nel bene o nel male, dalla loro recentissima  apparizione all’ultimo festival della canzone italiana, si, quello di Sanremo. 
Quindi devo… dimenticare le luci, l’orchestra, le gengive irritanti della Venier, le lezioni di musica di Luzzatto Fegiz, lo sguardo intrigante di Giletti in prima fila, l’eccessiva miscela di rosso ramato nella tinta di Paolo Limiti, le domande impastate di saliva di quel simpaticone di Mollica, le farfalline, le mummie secolari, plastificate, in sontuose pellicce in platea, la réclame, l’HD sul canale 501, lo sdoganamento o il tentativo di sdoganare quanto di più autentico, intimo e realmente alternativo ed indipendente in Italia si aveva. Margaritas ante porcos o suini che devono essere educati alle perle, questo sarebbe il dilemma. Nel dubbio, non cerco la risposta e torno sul disco, e davvero dimentico, una volta per tutte, ciò che è stato.
Cinque sta per una serie di cose. Il numero degli album in studio dei Marta sui Tubi e la formazione a 5 che dura ormai da 5 anni. Annunciato come l’album più ambizioso e sperimentale della loro carriera, l’ascolto lascia subito impressionati per la notevole qualità della registrazione e del missaggio che a tratti sfiora la patinata perfezione. Niente di male, anzi. Lo metti su e l’ambiente magicamente si riempie di un suono pieno e morbido, caldo, rassicurante. Ma, almeno per una volta, vorrei partire dalle note dolenti per dedicare il finale alle cose migliori, perché il mio affetto per i Marta sui Tubi è tale da voler concedere al lettore il piacere di portare con sé ciò che mediamente rimane più impresso, le prime righe e, generalmente, le ultime.
Parto quindi dalle noti dolenti, semplicemente i pezzi che mi sono piaciuti meno, poco, per niente. La ladra sembra più che altro una cover di una ballad di successo di John Mayer piuttosto che un pezzo di quel gruppo che inconsciamente ho sempre ritenuto la versione italica dei Violent FemmesGrandine che nei cori del ritornello fa esibire l’ugola di Giovanni Gulino in performance che, sempre inconsciamente, lo collocano tra l’ultimo Battiato e Mango. Un’occasione ghiotta per rialzare l’ “emozionometro” la dà l’ultima traccia, Polvere sui Maiali. Un blues sghembo, cantato un po’ alla Tom Waits da Carmelo Pipitone, il genio della sei corde acustica più talentuoso in Italia. Un'occasione che avrebbe potuto essere sfruttata meglio se dopo una partenza più che convincente non si rinchiudesse praticamente subito in un ridondante finale pseudo-psichedelico che considerando i suoi 3:29 sa un po’ di coitus interruptus. Ma la cosa più imbarazzante è un'altra e si chiama Il Collezionista di vizi. Non so quanto le due cose siano collegabili, ma ascoltandola mi sono un po’ venute le stesse bolle sulla pelle che mi spuntarono quando ascoltai per la prima volta “Il mio corpo che cambia” dei Litfiba. Riconoscevo quella voce, ma mi sentivo come la ragazzina con l’apparecchio ai denti, bruttarella ma interessante che era stata appena tradita per la bellona simpatica ma un po’ tonta.
E’ difficile dire tutto ciò, per me che seguivo i concerti dei Marta sui Tubi quando ai concerti eravamo in pochissimi illuminati  e tutti con le ugole in fiamme nel tentare di stare dietro alle devastanti apnee liriche di Gulino, sgranando gli occhi di fronte alle extraterrene contorsioni di Pipitone alla chitarra.
All’interno delle 11 tracce delle quali è composto l’album ci sono però pezzi sicuramente validi ed assolutamente apprezzabili. Su tutti Tre, un punk blues al fulmicotone, introdotto da un assolo di batteria con forte eco, quasi da live, al quale segue una languida chitarra old blues ed un cantato impostato quasi a scimmiottare i diversi cloni italiani di Elvis degli anni d’oro. Fino a giungere ad un’esplosione pazza ed irrefrenabile di suoni e rime velocissime come solo i Marta sui Tubi in Italia hanno saputo fare. Tra le cose belle ancora Dispari, il pezzo scartato a Sanremo (niente, non ce la faccio a non pensare lì). Coro gregoriano su base folk rock,  ad introdurre un ritmo travolgente ed un'orecchiabilità da filastrocca musicata che nella sua semplicità e delicata melodia, condita da arrangiamenti da grandi occasioni, ne fanno un pezzo di assoluto spessore che induce agevolmente allo scanzonato fischiettio. Ancora decisamente valide ma un gradino sotto le due tracce appena menzionate sono Il primo volo, la prima traccia dell’album, e Vorrei. Entrambe di forte impatto emotivo e con una cura particolare degli arrangiamenti e dei testi, hanno semmai la pecca, se di pecca si tratta,  di ammiccare troppo alla melodia della canzone leggera nazionale.
Menzione a parte la merita Vagabond Home, il primo pezzo in inglese dei Marta sui Tubi, se si esclude la cover di Tomorrow never knows dei Beatles in C’è gente che deve dormire. E’ una ballad alt folk/ blues che per quanto denoti inevitabili lacune nella pronuncia, dimostra delle potenzialità che la band ha fortemente incise nel proprio DNA e che sono sicuro, curate con un certo metodo, potrebbero portare i nostri eroi a ben più ampi orizzonti. E' questo uno dei momenti più intensi dell’album con un finale in crescendo di fumi psichedelici che questa volta, a differenza di Polvere sui Maiali, è ben calibrato nella collocazione e nella durata.
Non voglio fare moralismi o discorsi sull’etica nella musica, per carità, trovo sia stupido e da stupidi farlo ora ed in questa occasione, anche se altri saranno pronti a farlo, ne sono sicuro. Certo è che se il prezzo da pagare, per noi fan della prima ora, per permettere ai Marta sui Tubi di aprirsi ad un pubblico più ampio, arrivare sulla bocca delle massaie o delle amate/odiate Dominique (questa la capiscono in pochi), arrivare a vendere un buon numero di dischi in più e permettersi un’esistenza un po’ più serena, dopo tutto non è andata poi così male. Altri in passato hanno fatto la stessa cosa, ed in termini di mera qualità del prodotto i Marta sui Tubi possono essere tranquillamente considerati quelli che si sono sdoganati meglio, quelli che hanno tradito meno il loro spirito originario e autentico. Di questi tempi, veramente, non è poco.

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