Wagram (2012)
New Wave - Glam Rock
Appena finito di ascoltare l'omonimo disco d’esordio di Rover, mi sono trovato davanti ad un tragico dilemma: che tipo di recensione scrivere. Avrei potuto scrivere una recensione cosiddetta tecnica, impostandola sullo studio del personaggio/non personaggio Rover (all’anagrafe Thimothée Regnier, sì, è francese) o sulla miriade di rimandi, richiami, rivisitazioni ed emulazioni che lo stesso lavoro propone.
Ma sarebbe stato fin troppo facile richiamare ogni volta i vari artisti che vengono facilmente alla mente (in ordine sparso e scomposto di rinvenimento, soprattutto David Bowie, gli Interpol, Gainsbourg, Lennon, certe cose dei Muse, i falsetti di Justin Vernon dei Bon Iver, i primi Coldplay, l' Alex Turner solista, i Procol Harum, i Marillion) o intavolare il solito pippone sulla (nu) new wave, su chi copia cosa, chi emula, chi si rifà a e chi si fa e basta. Tutto sin troppo semplice ed immediato ma potenzialmente fuorviante, controproducente e opprimente se quello che si vuol fare è riuscire a dare un giudizio obiettivo su un disco.
L’altra via era quella di un approccio nudo, assoluto, emotivo e ultramateriale al disco. Ho scelto questo, non me ne vogliate. Ascoltare le prime quattro tracce di fila (Aqualast, Remember, Tonight, Queen of the fools) lascia letteralmente senza fiato. Si, certo, ti passa gran parte della tua vita musicale davanti, ma se la cosa non ti infastidisce, anzi, ti ringalluzzisce alquanto, è evidente che qualunque cosa essa sia, questa è roba forte, pensata, costruita e divulgata con dovizia di particolari da gente esperta e capace.
Aqualast graffia con la sua vena triste, struggente e malinconia. Remember smuove l’animo un po’ barocco ed un po’ burlesco che credevamo sopito o del tutto assente in noi. Tonight riempie con l’energica linea di basso e ipnotizza con il suo cantato, magnifico nel falsetto, che comunica una disperata ricerca di riscatto, di redenzione, con l’orgoglio tronfio e maestoso che sembra prerogativa di Rover, a cominciare dalla copertina dell’album. Queen of the fools è il lento a bordo pista con l’amata inzuppata di lacrime che ti ha appena comunicato la sua partenza per terre lontane.
Le prime quattro tracce dicevo. Si perché se ascoltando queste non la finisci più di gridare al capolavoro, con Wedding bells il disco effettivamente subisce un calo di tono, si affloscia un po’, e spesso si è presi dalla tentazione di ritornare sulle prime tracce piuttosto che andare avanti nell’ascolto. Consiglio però la tenacia, perché dopo un paio di momenti non proprio esaltanti arrivano Silver e Champagne (quest’ultima con una meravigliosa armonica a bocca in chiusura), che di diritto vanno ad aggiungersi alle perle dell’album. E siamo a sei pezzi memorabili, davvero non male. Sul finire si fa ascoltare Carry on, con il suo simpatico connubio tra tradizione ed innovazione, tra accordi di organetto old style e riff di tastiera futurista, con il solito cantato possente e forse un po’ ridondante, la stessa ridondanza che ritroviamo nella già stanca (e stancante) Late night love. Non passerà alla storia neanche la hidden track (“Full of grace / La Roche”).
Rover è cupo, malinconico e comunica una certa vena di nostalgia, ma è pure elegante ed imponente; è sicuro di se e della propria musica, e sembra non curarsi affatto dei facili paragoni; è certosino nella cura dei particolari e magistrale nell’aver creato e buttato nella mischia del 2012 un paio di capolavori (Aqualast e Remember) che resteranno a lungo nelle orecchie di chi saprà apprezzarli.
L’omonimo disco di Rover, ne sono sicuro, farà gridare al capolavoro o alla gran paraculata. Esattamente nel mezzo c’è il mio giudizio. E’ un gran bel disco, a tratti travolgente, ma poi alla fine, tenendo conto dei vari tasselli che lo compongono, non da ultimo la relativa pochezza di un certo numero di tracce, rimane tra le cose valide e meritevoli di quest’anno, senza però bisogno di andare troppo oltre nelle onorificenze.
Pubblicata su Storiadellamusica.it.
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