R&B, Blues Rock
“They call me, Dr. John, the night tripper, got my sizzling gris-gris in my hand” (da Gris-gris gumbo ya ya)
Cominciava così, nel lontano 1968, la carriera musicale di Malcolm John Rebennack, classe 1940, bluesman sciamano, di professione icona, vivente. Sono questi infatti i primi versi di Gris-gris gumbo ya ya, la traccia numero 1 di Gris-Gris, il primo capitolo nella storia della musica di Dr. John.
Il 2012 in musica, a meno di incredibili quanto improbabili colpi di coda, è destinato a non passare alla storia per eccezionali nuovi prodotti. Potrà semmai essere ricordato come l’anno in cui icone del calibro di Leonard Cohen, Bob Dylan, David Byrne, Bill Fay e Dr. John, c’hanno riprovato, e lo hanno fatto alla grande. E hanno pure dimostrato che, nonostante la clamorosa contravvenzione alla regola aurea “morire giovani per esser santificati”, loro la santificazione se la continuano a guadagnare sul campo, lasciando allibite le giovani generazioni, e storditi i critici musicali che si scervellano a ritrovare opere sensazionali nelle pietanze odierne, dimenticando che se l’opera è sensazionale, è lei a ricercarti. E questo, il miglior 72enne in attività, lo sa bene.
Locked down, ventinovesimo capitolo della sua discografia, è uscito nella colorata primavera di quest'anno, ma ne parliamo scientemente solo ora, in tardo inverno. Probabilmente perché c’è un certo timore reverenziale nell’approcciare i mostri sacri della musica. Non vuoi fallire ed allora lasci che la musica venga da te assimilata, vissuta, lasciata e ripresa nel mezzo della moltitudine di cose che ti capita di ascoltare. E' un pericolo, non c'è dubbio, perché troppo tempo e troppi ascolti abbiamo ormai dedicato a quest’album, con una miriade di congetture, gossip e riletture che avrebbero potuto facilmente far intruppare la nostra visuale nel sentimentalismo, o tutto il contrario.
Partiamo dalla produzione. Dan Auerbach, voce e chitarra (ma non dite leader!) dei Black Keys. È lui che ha prodotto l’album. Basta ascoltare davvero poche note di Locked Down per capire che sarebbe naturale immaginare i Black Keys, specie quelli di Brothers, ad interpretare quest’album. Né meglio né peggio. Uguale. L’allievo che produce il maestro. Potere della pecunia del lonely boy Auerbach.
Se posso immaginare, Auerbach ha dato qualità al suono, ripulendolo e potenziandolo, concedendo al maestro di fare il maestro, che al resto pensava lui. E suona bene, accidenti se suona bene. In Locked Down c’è tanto soul (Big shot, My children, My Angels), rhythm & blues (Revolution, You Lie), funky (Locked Down, Eleggua), profumi afrobeat (Ice Age), con pizzichi di psych-prog (Getaway) e spolverate di gospel (God’s sure good) e poi quei riverberi, quei riff di organo, quei cori, quei fiati, e soprattutto quella magnifica, divina, chitarra che si rifà a se stessa, fino a concedersi assoli stratosferici (ancora Getaway) come pochi saprebbero fare oggi. Forse Auerbach, giusto lui, e pochi altri.
Kingdom of Izzness fa storia a se, è il pezzo più coinvolgente, non si discute. E poco importa che suoni Black Keys più degli ultimi Black Keys. Riff di organetto malizioso, balbettante all'inizio e poi timidamente ammiccante, batteria lenta, rimbombante di garage, coro femminile black, il tutto in un freschissimo groove da esportazione. Dà assuefazione. Come tutto l'album del resto. Perchè se è passato tanto tempo e la voglia di ascoltarlo non è diminuita neanche di una frazione della relativa unità di misura, ci sarà pure un benedetto motivo.
Dr. John è tornato, per quanto non sia mai andato via, umilmente e senza alcun timore reverenziale nei confronti di nessuno. Alla veneranda età di 72 anni ribadisce al mondo che lui è lui. E voi? Voi non siete lui. Provateci. Illudetevi di esse lì lì. Producetelo pure, impacchettatelo, ripulitelo e promuovetelo. Anzi, ben venga. L'importante è capire che il valore aggiunto è uno solo, e si chiama Dr. John.
Ascoltatori di Locked Down, una riffata vi seppellirà.
Pubblicata su Storiadellamusica.it
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