Dream Pop - Shoegaze - Post Rock
Un duo, uomo donna, marito e moglie. Lui, Devon Church, musicista di alterna fortuna, lei, Aleska Palladino, attrice di discreto successo negli States, al cinema e in famosissime serie TV. Si incontrano per caso all’età di 18 anni, su un treno, in Canada, e non si separeranno più.
Nel caso di questo Passage, prima ancora di ascoltare l'album, mi è bastato ragionare per preconcetti banali e facili luoghi comuni per arrivere al dunque, o comunque non troppo lontano dallo stesso. Mettendo infatti insieme l’etichetta, la Secretly Canadian (Porcelain Raft, Yeasayer, JJ, Taken by trees), la formula, trendissima, del duo uomo donna (da ultimo, Tamaryn, Beach House, Chairlift, I Break Horses), il nome, Exitmusic (ispirato al quasi omonimo brano dei Radiohead), il nome di lui, Devon Church (un nome che sa tanto di congregazione cristiana misericordiosa, ed incredibilmente ne esiste veramente una a quel nome, a Chicago), e già si era materializzata in me un'idea, grossolana sì, ma realistica, di quello che poi ho realmente ritrovato in Passage.
E’ questo il primo vero lavoro in grande stile degli Exitmusic, dopo un’autoproduzione del 2007 (The Decline of the West) e un EP del 2011 (From Silence). Se le premesse erano state chiare, gli sviluppi hanno sostanzialmente confermato le prime impressioni.
Struggente armonia. Dolcissima disperazione. Bellezza. Tristezza. Paranoia. Tutto questo nella voce flebile e dilaniata da un non ancora ben diagnosticato dolore esistenziale, esasperato ed esasperante, della bellissima Aleska Palladino. Melodie lente e cadenzate da beats semplici, glaciali. La chitarra elettrica che pochissime volte si stacca dalla pedaliera e dal riverbero, e che ricorda davvero tanto, quando sperimenta semplici arpeggi (The City, Stars) quella dei Radiohead di Hail to the thief.
La title track è di rara e raffinata magnificenza, con un intro in perfetto stile Sigur Ròs ed un poderoso crescendo che a metà traccia travolge come un fiume in piena, come non sempre succederà nel corso dell’album. Vale il prezzo del biglietto, come usava dire Pizzul dei colpi di tacco di Roberto Baggio.
Da segnalare ancora White Noise, l’altro pezzo magistrale dell’album. Siamo nel dream pop, quando lo stesso sfiora e lambisce lo shoegaze prima di formare un tutt’uno con lo stesso, esasperandone il lato triste e malinconico, tipico di certe ulteriori evoluzioni post (mi è venuto in mente più volte il sadcore degli Arab Strap, quelli di Philophobia e Elephant Shoe). Il verbo dei Sigur Ròs torna in maniera fin troppo esplicita in The Wanting mentre The modern age a tratti è pure allegra, ma non troppo.
Non è certo l’album che si ascolta se sì è alla ricerca della “botta di vita”, dell’adrenalina o dell’empatia dell’amico istrionico e caciarone. E’ invece l’album buono e consigliato per gli amanti del dream pop, con le dovute premesse se l’avete vissuto e apprezzato nei tempi d’oro, con maggiore disinvoltura, soprattutto da parte di chi lo consiglia, se siete fan o semplicemente amanti delle numerose retrospettive contemporanee. Anche perchè, tra questi ultimi, gli Exitmusic sono probabilmente l'offerta migliore in circolazione. E ho detto tutto.
Pubblicata su Storiadellamusica.it.
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