Translate

giovedì 15 maggio 2014

I 10 album (più 1) di black music che mi hanno cambiato la vita

I 10 album (più 1) di black music che mi hanno cambiato la vita

Fare le liste è sempre difficile. Sia che si tratti di quella della spesa per la cena o di quella dei tuoi peggior nemici, si rischia sempre di essere imprecisi, superficiali, di lasciare fuori ciò che doveva star dentro o di tener dentro ciò che doveva starsene fuori. Come fare quindi a tracciarne una, di dischi di musica black, senza rischiare di fare un buco nell’acqua? Non lo so. E non lo voglio sapere. So però che una delle prerogative di questa musica è l’anima, spesso martoriata ed alla continua ricerca di una riscossa. Ferita e poi rigenerata. Passionale, orgogliosa, sofferente ma poi deliziata dalla bellezza delle cose della vita. Le cose semplici. Le cose essenziali.

Per sintonizzarsi su certe frequenze ci deve quindi essere, di base, una particolare predisposizione emotiva e forse anche culturale e sociale, che possa condurre l’ascoltatore ad una quasi perfetta condivisione di intenti e di sentimenti con chi si propone a te, dal vivo o filtrato da un disco. Quella che potrebbe quindi sembrare la cosa più difficile da fare, stilare una lista di 10 album black indispensabili (più uno), diventa la cosa più facile, se a guidare il processo selettivo non è più la mente o una la calcolatrice, ma il cuore. Il tuo cuore. Lui che non cerca spiegazione alle cose, lui che le vive, le sente e con istinto e passione te le mette irreversibilmente in circolo. Dà pure giudizi certo, basati perlopiù sull’emozione imponderabile, spesso irrazionale, spesso anche distorta e poco attendibile. Quante volte infatti ci si pente amaramente delle sue scelte, troppo impulsive. Ma tant’è.

La mia scelta, di cuore, è ricaduta così su 10 album, importantissimi per la mia personale formazione musicale sul genere e non solo. Ognuno di questi album è mio fedele compagno di vita, mi piace dire da sempre. Mi vergogno forse un po’ a dirlo pubblicamente, tanto è intima la faccenda, ma è giusto parlarne.

In ordine meramente cronologico:

1.       Sam CookeNight Beat (RCA, 1963)
Non l’album più famoso (se cercate quello, allora bisogna procurarsi “The Wonderful World of Sam Cooke”) di colui che è passato alla storia come il re della musica soul ma il più intimo e partecipato. Una sorta di prototipo per tutto quello che verrà e che influenzerà direttamente tutti gli altri artisti di seguito citati. L’archetipo.














2.       Nina SimonePastel Blues (Philips, 1965)
Il capolavoro di Eunice Kathleen Waymon in arte Nina Simone, la voce femminile del jazz nero, la regina della black music a 360°, una donna come ne nascono una o forse due ogni sei o sette generazioni. Il diamante.

 













3.       Otis ReddingOtis Blue/ Otis Redding sings soul (Stax, 1965)
Otis Redding fu un enfant prodige le cui doti canore furono “sfruttate” fin dalla tenerissima età per portare soldi in una famiglia poverissima. Aveva compiuto da poco 26 anni quando l’aereo su cui viaggiava precipitò sul lago Monona, nel Wisconsin. Giusto in tempo per regalare all’umanità uno dei dischi più belli di sempre nonostante composto, per la quasi totalità, da cover. Le lacrime.














4.       Isaac HayesHot buttered soul (Stax, 1969)
La pelata più famosa e importante della musica soul e funk. Quattro tracce che cambieranno per sempre il corso della musica nera. Il fuoco.















5.       Donny HathawayEverything is Everything (AtCo, 1970)
Tutto è tutto per Donny, e se un turnista e artigiano della musica, riesce a intraprendere una difficile carriera da solista e tirar fuori una gemma di tale portata, non c’è spazio per altro. La passione.















6.       Roberta FlackQuiet fire (Atlantic, 1971)
L’altra donna di questa classifica è un’altra icona, l’unica a mio avviso a tenere il passo (senza però eguagliare) Nina Simone. Quiet fire è l’apoteosi dell’anima mistica, tribale e sognante della black music. Il sogno.
















7.       Marvin GayeWhat’s going on (Tamla, 1971)
Questa volta tutto è chiaro. A tutti. Lui vuole fare l’amore con te, ma il sesso non c’entra niente. No, non sei gay(e), o forse lo sei anche. Non è importante. Il più grande.
















8.       FunkadelicMaggot Brain (Westbound, 1971)
Tutta un’altra musica eppure la stessa musica. George Clinton rimescola le carte in tavola portando fumi, tanto groove e psichedelia nell’anima della musica. Gliene saremo grati per sempre. L’azzardo.














9.       Bill WithersStill Bill (Sussex, 1972)
Con Still Bill Withers porta definitivamente il funk nel soul. Con rabbia, con trasporto, con ispirazione e talento. Nella mia personale classifica di interpreti neri di tutti i tempi, è secondo solo a Gaye. Ma non tutti i giorni. Il cuore.















10.   Curtys MayfieldSuperfly (Curtom, 1972)
Poche voci mi hanno sconvolto l’esistenza così come ha fatto quella, inconfondibile e veramente unica, di Curtis Mayfield. Se in abbinamento c’è un sound inzuppato di groove ammiccante, afro-orchestrale, magnetico, ecco che la colonna sonora di un film di terza serie diventa un classico sempiterno. Il sangue.














11.   Matthew E. WhiteBig Inner (Spacebomb, 2012)
Il non-classico che inserisco in classifica è la meravigliosa avventura contemporanea di questo inguaribile nostalgico, ormai fenomeno di culto, anche solo a guardarlo. Un omaccione barbuto e triste che appena parte la musica è magia. La fede.





Nessun commento:

Posta un commento