I 10 album (più 1) di
black music che mi hanno cambiato la
vita
Fare le liste è sempre difficile.
Sia che si tratti di quella della spesa per la cena o di quella dei tuoi
peggior nemici, si rischia sempre di essere imprecisi, superficiali, di
lasciare fuori ciò che doveva star dentro o di tener dentro ciò che doveva
starsene fuori. Come fare quindi a tracciarne una, di dischi di musica black, senza rischiare di fare un buco
nell’acqua? Non lo so. E non lo voglio sapere. So però che una delle
prerogative di questa musica è l’anima, spesso martoriata ed alla continua ricerca
di una riscossa. Ferita e poi rigenerata. Passionale, orgogliosa, sofferente ma
poi deliziata dalla bellezza delle cose della vita. Le cose semplici. Le cose
essenziali.
Per sintonizzarsi su certe
frequenze ci deve quindi essere, di base, una particolare predisposizione
emotiva e forse anche culturale e sociale, che possa condurre l’ascoltatore ad
una quasi perfetta condivisione di intenti e di sentimenti con chi si propone a
te, dal vivo o filtrato da un disco. Quella che potrebbe quindi sembrare la
cosa più difficile da fare, stilare una lista di 10 album black indispensabili (più uno), diventa la cosa più facile, se a
guidare il processo selettivo non è più la mente o una la calcolatrice, ma il
cuore. Il tuo cuore. Lui che non cerca spiegazione alle cose, lui che le vive,
le sente e con istinto e passione te le mette irreversibilmente in circolo.
Dà pure giudizi certo, basati perlopiù sull’emozione imponderabile, spesso
irrazionale, spesso anche distorta e poco attendibile. Quante volte infatti ci
si pente amaramente delle sue scelte, troppo impulsive. Ma tant’è.
La mia scelta, di cuore, è
ricaduta così su 10 album, importantissimi per la mia personale formazione
musicale sul genere e non solo. Ognuno di questi album è mio fedele compagno di
vita, mi piace dire da sempre. Mi vergogno forse un po’ a dirlo pubblicamente,
tanto è intima la faccenda, ma è giusto parlarne.
In ordine meramente cronologico:
1.
Sam Cooke – Night Beat (RCA, 1963)
Non l’album più
famoso (se cercate quello, allora bisogna procurarsi “The Wonderful World of Sam Cooke”) di colui che è passato alla
storia come il re della musica soul
ma il più intimo e partecipato. Una sorta di prototipo per tutto quello che
verrà e che influenzerà direttamente tutti gli altri artisti di seguito citati.
L’archetipo.
2. Nina Simone
– Pastel Blues (Philips, 1965)
Il capolavoro di
Eunice Kathleen Waymon in arte Nina Simone, la voce femminile del jazz nero, la
regina della black music a 360°, una donna come ne nascono una o forse due ogni
sei o sette generazioni. Il diamante.
3. Otis Redding
– Otis Blue/ Otis Redding sings soul
(Stax, 1965)
Otis Redding fu un
enfant prodige le cui doti canore
furono “sfruttate” fin dalla tenerissima età per portare soldi in una famiglia
poverissima. Aveva compiuto da poco 26 anni quando l’aereo su cui viaggiava precipitò
sul lago Monona, nel Wisconsin. Giusto in tempo per regalare all’umanità uno
dei dischi più belli di sempre nonostante composto, per la quasi totalità, da
cover. Le lacrime.
4.
Isaac
Hayes – Hot buttered soul (Stax,
1969)
La pelata più
famosa e importante della musica soul e funk. Quattro tracce che cambieranno
per sempre il corso della musica nera. Il fuoco.
5. Donny Hathaway
– Everything is Everything (AtCo,
1970)
Tutto è tutto
per Donny, e se un turnista e artigiano della musica, riesce a intraprendere
una difficile carriera da solista e tirar fuori una gemma di tale portata, non
c’è spazio per altro. La passione.
6. Roberta Flack
– Quiet fire (Atlantic, 1971)
L’altra donna di
questa classifica è un’altra icona, l’unica a mio avviso a tenere il passo
(senza però eguagliare) Nina Simone. Quiet
fire è l’apoteosi dell’anima mistica, tribale e sognante della black music.
Il
sogno.
7. Marvin Gaye
– What’s going on (Tamla, 1971)
Questa volta tutto è chiaro. A tutti. Lui
vuole fare l’amore con te, ma il sesso non c’entra niente. No, non sei gay(e),
o forse lo sei anche. Non è importante. Il più grande.
8.
Funkadelic
– Maggot Brain (Westbound, 1971)
Tutta un’altra
musica eppure la stessa musica. George Clinton rimescola le carte in tavola
portando fumi, tanto groove e
psichedelia nell’anima della musica. Gliene saremo grati per sempre. L’azzardo.
9. Bill Withers
– Still Bill (Sussex, 1972)
Con Still Bill Withers porta definitivamente il funk nel soul. Con rabbia, con
trasporto, con ispirazione e talento. Nella mia personale classifica di
interpreti neri di tutti i tempi, è secondo solo a Gaye. Ma non tutti i giorni. Il cuore.
10. Curtys Mayfield – Superfly (Curtom, 1972)
Poche voci mi
hanno sconvolto l’esistenza così come ha fatto quella, inconfondibile e
veramente unica, di Curtis Mayfield. Se in abbinamento c’è un sound inzuppato
di groove ammiccante, afro-orchestrale, magnetico, ecco che la colonna sonora
di un film di terza serie diventa un classico sempiterno. Il sangue.
11. Matthew E. White – Big Inner (Spacebomb,
2012)
Il non-classico
che inserisco in classifica è la meravigliosa avventura contemporanea di questo
inguaribile nostalgico, ormai fenomeno di culto, anche solo a guardarlo. Un
omaccione barbuto e triste che appena parte la musica è magia. La
fede.
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