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domenica 30 settembre 2012
sabato 29 settembre 2012
venerdì 28 settembre 2012
SAPEVATELO: Dirt degli Alice in Chains compie 20 anni
Il 28 settembre 1992, io avevo 12 anni ed il mondo si stava ancora riprendendo dalla bastonata di Nevermind dei Nirvana, uscito appena un anno prima. Gli Alice in Chains, quel giorno, rilasciavano il loro capolavoro, Dirt. Cupa e tagliente energia, come solo a Seattle sapevano fare bene.
Noi, quelli che ancora portano i segni addosso.
Noi, quelli che ancora portano i segni addosso.
Brano del giorno: XX - "Missing"
giovedì 27 settembre 2012
Brano del giorno: The Raveonettes - "Young and Cold"
mercoledì 26 settembre 2012
RECENSIONE: Deerhoof BREAKUP SONG
Polyvinyl (2012)
Art Pop/Alt Pop
"Quando non ci capisci niente e' avanguardia"
…mi disse, realmente, una volta un amico, che oggi, con un nome di fantasia, chiamerò Simone Rinaldi. Salterei le presentazioni per i Deerhoof, giunti al loro dodicesimo LP in ormai 15 anni di ininterrotta carriera. Breakup Song e' un album d’avanguardia pop/rock, ma anche di math rock/pop, di art pop/rock, oppure noise, oppure pop. Con esso il multietnico quartetto di San Francisco dà l'ennesimo colpo di reni, lo scatto sui pedali, per non perdere terreno dal gruppo di quelle teste calde che in questi anni ha continuato a pedalare forte nel destrutturato e schizofrenico cosmo della musica imprevedibile, sperimentale, d’avanguardia, gli indie tra gli indie (tra gli altri, in ordine sparso, Flaming Lips, Xiu Xiu, Dirty Projectors, Animal Collective, Mae Shi, These Are Powers, l’immensa Marnie Stern, Ponytail e Battles).
Al mio amico Simone oggi direi che, a distanza di anni, ho imparato ad apprezzare “la musica che non capisco subito”, quella che mi arriva per vie traverse, quella che non suonerei con la chitarra attorno ad un falò in spiaggia (era un esempio, so che sono vietati, ora), o almeno non prima di essere totalmente preda dei fumi dell’alcol. Quella musica che mi piace ascoltare quando sono solo e non devo rispondere alla simpatica domanda: “ma che razza di musica ascolti!?!” Saranno stati gli ascolti ininterrotti, obbligatori, di Freak Out (e successivi) dei Mothers of Inventions di Frank Zappa invece di ascoltare musica normale come facevano (quasi) tutti, chi lo sa.
Fatto sta che sono cresciuto con gusti strani e questa prodromica confessione, che sa tanto di excusatio non petita, vuole solo in parte giustificare il mio giudizio su quest’album. Per consentirmi di dire che, tutto sommato, neanche mi ha stupito più di tanto. Sono altre le sperimentazioni che mi sarei aspettato, sono altri gli squilibri, le asimmetrie, i ritmi sincopati, le pause e le ripartenze quando non te le aspetti, in una parola, gli azzardi. Perché se arrivi ad immaginare di aver già ascoltato un pò tutti i pezzi, se dopo numerosi ascolti non sei in grado di ricordare un brano, ed hai persino un’allucinazione nella quale ti sembra di sentire un pezzo dei Deerhoof (namely, Mario’s Flaming Whiskers III) a scaldare la pista da ballo di un villaggio turistico, capisci che forse non ci sono più gli azzardi di una volta.
Il cantato di Satomi Matsuzaki, al solito, è dolce ed orecchiabile quasi fossimo nel pop, quello col prefisso J o K, di ammiccantissime all-female band nipponiche. Le chitarre di Ed Rodriguez e John Dieterich si affacciano di tanto in tanto nei brani mostrando talvolta muscoli noise e architetture sconnesse “da Battaglie” (Breakup songs, Zero Seconds Pause, Monthball the fleet) altre volte venature funky-fusion (There’s That Grin, Flower), sempre con l’impressione di spazzar via l’intrecciatissimo caos sonoro, stratificatosi e ammassatosi nel frattempo, fatto di suoni campionati, beat stile videogames vintage (Bad Kids to the Front) e note di sintetizzatore. La batteria di Greg Saunier, come in ogni lavoro dei Deerhoof, assume un ruolo leader nell’assecondare e dirigere i continui sbalzi d’umore della band. E lo fa, come sempre, egregiamente.
Le maestose tastiere di To Fly or Not to Fly introducono, non prima di una capatina nella disco music anni 80, il riff di chitarra più cattivo dell’album, che proprio nel momento in cui ti carica di adrenalina, viene bruscamente interrotto dai samples di trombe della successiva The Trouble with Candyhands, il mambo psichedelico che non ti aspetti. L’ultima traccia, Fate D’adieu, è, invece, il pezzo bello perchè bello. Una canzone che ha (quasi) la forma di una canzone, come ti dimentichi che esistano, dopo un’immersione nelle ansie da banalità dei Deerhoof. Un intro di chitarra stile Rolling Stones che precede strofa, ritornello e bridges, di quelli che potresti pure provare ad eseguire, in spiaggia attorno ad un falò.
Una menzione a parte merita però We do parties (che quando inizia giureresti di averla già sentita, da Bjork forse?). Non passerà alla storia per la sua bellezza, ma sembra avere una sorta di significato esoterico e mistico per la band, anche a sbirciare il loro sito. O altrimenti qualcuno mi spieghi cosa significano espressioni tipo “così parlò il Jingletron” o “l’autojubilator è gratis”!
Breakup Song: Noise jingles for parties (lo dicono loro).
Pubblicata su Storia della Musica il 25 settembre 2012.
Brano del giorno: Dinosaur Jr. - "Pick Me Up"
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martedì 25 settembre 2012
SAPEVATELO: Justin Vernon stanco di Bon Iver
In una intervista all'emittente radiofonica del Minnesota, The Current, Justin Vernon dichiara di essere stanco della sua esperienza con la band, e che dopo la lunga pausa alla fine del tour, non sa se mai ci tornerà assieme. Comunque sia, farà bene, ne sono sicuro
lunedì 24 settembre 2012
domenica 23 settembre 2012
Brano del giorno: Grizzly Bear: "Speak in rounds"
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alt-pop,
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shields
sabato 22 settembre 2012
venerdì 21 settembre 2012
SAPEVATELO: E sono 5, i video da "An awesome wave" degli ALT-J
giovedì 20 settembre 2012
Brano del giorno: Pussy Galore - "Hell Spawn"
mercoledì 19 settembre 2012
RECENSIONE Twin Shadow - CONFESS
4AD
Wave - Synth-pop
"Wave” goes the world
Avrei voluto tralasciare il fatto che George Lewis Jr, al secolo Twin Shadow, si mostri, nella copertina di Confess, come un Lenny Kravitz davanti ad uno specchio poco prima di recarsi alla festa anni 80 organizzata dai compagni di liceo o come un Neon Indian appena travolto da un destabilizzante delirio di machismo. Avrei voluto, ma aveva un senso non farlo.
Parlare di "retromanie" in questa era musicale e nel contesto sociale sviluppatosi nelle grandi metropoli del pianeta Terra tra la generazione a cavallo dei 30 anni (c'e' chi li/ci chiama hypster) è diventato talmente frequente, a tratti detestabile, che davvero mi chiedo se e fino a che punto abbia ancora senso farlo. Siamo la musica che ascoltiamo e viceversa. La musica in giro è quella che vogliamo ascoltare, da una parte e dall'altra delle casse (o delle cuffiette). Negli anni '10, diranno, si ascoltava questa musica, che qualcuno con un razionale senno di poi saprà meglio definire, senza magari neanche più citarli, gli anni 80.
Detto questo, che non è poco, possiamo incanalare tutte queste considerazioni (anche quelle apparentemente banali sulla simbologia iconoclasta di cui sopra) nell'ultima fatica di Twin Shadow. L'avevamo lasciato al fantastico esordio di Forget che tanto aveva impressionato ed entusiasmato fan e critici di tutto il mondo e lo ritroviamo ora, nel 2012, con questo attesissimo Confess. In 2 anni ne sono passate di acque (anche reflue) sotto i ponti e le vendite di tecnologie di sintesi musicale vintage hanno visto letteralmente esplodere i loro ordinativi. La new wave è stata in questi anni “saccheggiata” da artisti di ogni parte del globo (Interpol, Editors, The Horrors, She Wants Revenge) con lodevoli rappresentanti anche in Italia (Der Noir, Be Forest) così come le oniriche reminescenze di pop sintetico anni 80 sono nel frattempo divenute un genere ben preciso. Da Washed Out a Memory Tapes, passando per Toro Y Moy, M83, i nostri magnifici Casa del Mirto, e Neon Indian, appunto, solo per citarne alcuni.
Tutto questo mare magnum di suoni "paninari" ha di fatto assuefatto le orecchie attente a questo tipo di sonorità rivelando al contempo tanto una predisposizione positiva alla tendenza quanto una inevitabile maggiore capacità critica sul reale valore di quanto prodotto.
Dovendo parlare di questo disco e volendo essere più scientifici nell'analisi, Confess e' tutto questo, ma dà, come il precedente Forget, maggiore spazio e rilevanza al synth-pop classico, che a tratti è pura wave. L'evanescenza e l'impalpabilità' del pop ipnagogico sono infatti corretti da un cantato mediamente più deciso, riverberato a livelli non estremi; la chitarra è spesso distintamente riconoscibile (c'e' chi scommette che ci possano essere voluti anche più dei canonici 5 minuti per arrangiarla) mentre la drum machine così come il caro sintetizzatore sono davvero quelli dei prosciugati anni 80 (Thompson Twins, Man Without Hats, giusto per non citare sempre gli stessi).
Golden Light e' dalle parti degli M83 più dirompenti e mediaticamente efficaci, quelli di Hurry up we’re dreaming, per intenderci. Muscolosi riff di chitarra elettrica su un tappeto musicale quasi hip pop, regalano una piacevolissima allucinazione ultrasensoriale, lisergica, in You call me on. La vera vena wave viene fuori alla grande in Five seconds, il primo singolo dell’album, e la si ritrova, più spumeggiante, nella successiva, deliziosa, Run my heart. Dalle parti degli Editors la prima e degli ultimi The Maccabees la seconda. The One e' un pop wave stile Cure, quei Cure, mentre Beg for the night e' a metà strada tra un onesto omaggio ai primissimi Tears for Fears ed una ballad di una glam rock band (sempre anni 80) stile Whitesnake (si noti l'elefantiaco assolo finale di chitarra stile Van Halen).
Un'anima più calda e soul in un ambiente sonoro dark/cold wave sono le principali caratteristiche di Patient, secondo singolo dell’album, con un video che racconta il secondo episodio della storia (scritta realmente da Gorge Lewis Jr, vedere alla voce Night of the Silver Sun) di gang futuriste di bikers cominciata con Five seconds. L'allucinazione ipnagogica esplode in When the movie is over, dove Twin Shadow si sollazza nel vestito che, a parer mio, meglio sa indossare, quello che lo sposa a Simon Le Bon. Un tributo ai Depeche Mode non poteva mancare e lo si fa con una ballad che Dave Gahan, quello dei giorni nostri, avrebbe sicuramente voluto interpretare. A chiudere un lento, come li facevano in quegli anni, quando i Berlin portavano i nostri respiri lontano, a bordo di roboanti motociclette di grossa cilindrata, rigorosamente senza casco. Nostalgia canaglia.
Pubblicata su Storia della Musica il 19 settembre 2012.
martedì 18 settembre 2012
lunedì 17 settembre 2012
Brano del giorno: Fabrizio Coppola - "La stupidità"
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domenica 16 settembre 2012
sabato 15 settembre 2012
Brano del giorno: Bjork - "Hunter"
venerdì 14 settembre 2012
Brano del giorno: Flaming Lips - "Free Radicals"
mercoledì 12 settembre 2012
Brano del giorno: Sigur Ros - "Fjogur Pìanò"
martedì 11 settembre 2012
Brano del giorno: Pepe Deluxe - "Queenswave"
lunedì 10 settembre 2012
Brano del giorno: Toy - "Dead and Gone"
domenica 9 settembre 2012
Brano del giorno: O. Children - "Red Like Fire"
sabato 8 settembre 2012
Brano del giorno: The Smihts - "Never had no one ever"
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the queen is dead
venerdì 7 settembre 2012
Brano del giorno: Afterhours - "Punto G"
giovedì 6 settembre 2012
mercoledì 5 settembre 2012
Brano del giorno: Beastie Boys - "Sabotage"
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beastie boys,
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sabotage
martedì 4 settembre 2012
Brano del giorno: Patti Smith - "Constantine's Dream"
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